il danno morale: istruzioni per l'uso
articolo pubblicato sulla rivista
assinews di febbraio 2021
Premesse
Dopo la pubblicazione delle storiche “sentenze gemelle” del 2008, il danno non patrimoniale ha “vissuto” un decennio di relativa tranquillità.
In seno a diversi Tribunali italiani sono proliferate e si sono affinate tabelle che predeterminavano l’importo dovuto al danneggiato in base alla percentuale di invalidità permanente riconosciuta.
La Tabella che ha avuto maggior successo è stata sicuramente quella del Tribunale di Milano che ha assunto una “vocazione nazionale”, trovando applicazione in tutta la penisola.
Tale sistema, non sempre correttamente interpretato dai vari Giudici di merito, ha avuto l’innegabile effetto positivo di diminuire il contenzioso fornendo al danneggiato un immediato parametro di riferimento.
La materia è stata tuttavia fortemente scossa dal recente intervento della Cassazione, che con la sentenza 7513/2018 ha dettato un vero e proprio decalogo in tema di risarcimento del danno, criticando la struttura e gli automatismi del sistema tabellare, in particolar modo di quello milanese.
Tale intervento ha minato le “certezze” faticosamente raggiunte dagli operatori e dai giudicanti, ciò comportando da subito una certa eterogeneità nelle pronunce.
Consapevole di quanto sopra, con la sentenza in esame n. 25164 depositata in data 10 novembre 2020 (Relatore Dott. Travaglino), la Cassazione è tornata a chiarire i contorni della materia.
La vicenda
Il caso in esame trae origine da un sinistro subito da un pedone, il quale pativa gravi lesioni permanenti e agiva in giudizio per ottenerne il ristoro.
Dopo il rigetto delle domande da parte del Tribunale, il danneggiato otteneva una sentenza favorevole dalla Corte d’Appello che riconosceva una invalidità permanente nella misura del 25 %, un importo a titolo di personalizzazione del danno “per l’indubbia impossibilità per la vittima di cimentarsi in attività fisiche”, nonché un ulteriore a titolo di danno morale per le “sofferenze di natura interiore”.
La Compagnia avversaria proponeva ricorso per Cassazione avverso detta sentenza, sostenendo (per quanto qui interessa) che la Corte d’Appello avesse duplicato gli importi risarcitori e applicato la personalizzazione in assenza di qualsiasi circostanza che lo giustificasse.
La Suprema Corte – di fatto aderendo in buona parte ai motivi di ricorso – prende spunto dal caso concreto per ribadire quello che è il nuovo “statuto” del risarcimento del danno non patrimoniale, indicando con grande chiarezza e precisione l’iter logico a cui il Giudice deve attenersi onde evitare errori liquidatori.
L’iter logico risarcitorio
Il Giudice chiamato a risarcire il danno alla salute subito dal danneggiato dovrà:
1) riconoscere un importo a titolo di danno biologico (per le lesioni fisiche e per quelle dinamico – relazionali), così come accertato dal medico – legale;
2) accertare l’esistenza del danno morale, autonomo e distinto rispetto al danno biologico, in quanto attinente “allo stato d’animo di sofferenza interiore, che prescinde del tutto dalle vicende dinamico – relazionali della vita del danneggiato”.
Tale danno non è suscettibile di accertamento medico – legale e la prova della sua sussistenza deve essere fornita in concreto dal danneggiato.
3) qualora siano presenti entrambi i danni, il Giudice potrà applicare integralmente le tabelle le Tabelle milanesi che prevedono un unico valore monetario complessivo per entrambe le voci (quindi, ad esempio, valore monetario 100, di cui 80 danno biologico e 20 danno morale, riconoscimento di 100).
4) qualora invece non sia presente il danno morale, il Giudice dovrà considerare la sola voce del danno biologico.
Il valore monetario espresso dalla Tabella milanese non potrà più essere tout court utilizzato dal Giudice, in quanto al suo interno è ricompreso anche il danno morale.
Il Giudice dovrà pertanto prendere tale valore e “depurarlo” dall’aumento previsto per il danno morale (quindi, prendendo l’esempio di sopra, valore monetario 100, riconoscimento di 80 ed esclusione di 20).
5) Il Giudice dovrà a questo punto accertare se il danneggiato ha subito in concreto delle “conseguenze eccezionali ed ulteriori rispetto a quelle ordinariamente conseguenti alla menomazione”.
Solo e soltanto in quest’ultimo caso, il Giudice dovrà procedere ad una personalizzazione del solo danno biologico, escludendo quanto previsto automaticamente in tabella per il danno morale (nell’esempio di sopra, l’aumento dovrà essere effettuato solo su 80 e non su 100).
La critica agli automatismi della Tabella milanese
La sentenza in esame riprende dunque le critiche, già esposte in precedenti pronunce, al sistema elaborato dal Tribunale meneghino.
Secondo la Suprema Corte, infatti, le Tabelle milanesi operano un ingiustificato ed erroneo automatismo nel prevedere un unico valore monetario, comprensivo del danno biologico e di quello morale.
Così facendo, infatti, le Tabelle portano a presumere che, in presenza di una lesione fisica e dinamico – relazionale, sia sempre sussistente anche un danno morale, quando deve essere per contro il Giudice ad accertare, caso per caso, la sua esistenza.
Inoltre, tale sistema ha indotto più di un giudicante in errore.
Nel recente passato si è infatti assistito a diverse pronunce che, pur fondate sul sistema tabellare, ne stravolgevano il contenuto:
– da una parte, la personalizzazione veniva calcolata sull’intero valore monetario espresso in tabella e non già nella sola parte relativa al danno biologico;
– in altre pronunce invece, il Giudice ritenendo che detto valore fosse relativo solo al danno dinamico – relazionale, liquidava un ulteriore importo a titolo di danno morale, che finiva così per essere liquidato due volte;
– infine, in altri casi ancora, il danno morale veniva confuso con la personalizzazione.
Le problematiche al nuovo approccio
Il nuovo approccio dato dalla Cassazione, se da una parte (forse) risponde in modo più preciso alla necessità di ristoro di tutti i danni subiti (e solo quelli) dal danneggiato, dall’altro rischia di creare diversi problemi concreti, soprattutto in sede precontenziosa, facendo vacillare alcune “punti fermi” raggiunti.
Si deve infatti tenere in conto che le Tabelle milanesi nel corso dell’ultimo decennio hanno trovato applicazione frequente, per non dire, costante, in sede stragiudiziale, più (e prima) ancora che in aula.
Si pensi a quella che è la “classica” dinamica post sinistro: il danneggiato si rivolge alla Compagnia assicurativa e, sulla base della perizia medico legale, chiede il corrispettivo importo indicato nella Tabella.
Con l’attuale impostazione, qualora le parti siano d’accordo sul grado di invalidità, difficilmente il sinistro finirà in contenzioso e il risarcimento avverrà senza liti.
Seguendo invece la strada indicata dalla Cassazione, il danneggiato che voglia vedersi riconosciuto l’intero importo previsto in tabella per quel grado di menomazione, dovrà molto probabilmente introdurre un giudizio.
La Compagnia, infatti, non avrà problemi a riconoscere il quantum dovuto per il danno biologico, siccome accertabile con visita medico legale, ma ben difficilmente riconoscerà anche l’ulteriore importo a titolo di danno morale, da provare in concreto.
Così facendo il danneggiato, non vedendosi riconoscere l’intero importo indicato in Tabella, potrebbe facilmente ritenersi (a torto o a ragione) leso nei propri diritti risarcitori, avviando così un giudizio.
Una prima soluzione probabilmente potrebbe risiedere in una modifica e un ritocco della Tabella milanese, con la divisione dei due importi; accorgimento già “in cantiere” nelle attente sedi milanesi.
Anche tale modifica, tuttavia, potrebbe non essere sufficiente e potrebbe portare ad un aumento del contenzioso, forse evitabile solo attraverso un preciso e, soprattutto, organico intervento del legislatore.