L’EFFICACIA DEL GIUDICATO PENALE IN AMBITO CIVILE

L'EFFICACIA DEL GIUDICATO PENALE IN SEDE CIVILE

 

Con l’ordinanza 8477 del 5 maggio 2020, la Suprema Corte torna ad occuparsi dell’efficacia del giudicato penale nel giudizio civile ai fini del risarcimento dei danni, con una pronuncia perfettamente in linea con il recente orientamento in punto.

La Cassazione ha infatti ribadito quelli che sono i poteri del Giudice civile a fronte di una sentenza definitiva emessa in sede penale per un reato di danno, con la quale gli imputati venivano condannati al risarcimento dei danni subiti dalle vittime, da quantificarsi in separata sede.

In tale ipotesi, il Giudice civile è vincolato esclusivamente alla statuizione generica di condanna, dovendo verificare in concreto l’esistenza delle conseguenze dannose, del nesso causale e della loro entità.

 

 

Il caso

 

La pronuncia in esame trae origine da una sentenza penale con la quale il Giudice aveva accertato l’esistenza del reato e l’intervenuta prescrizione, condannando tuttavia gli imputati al risarcimento dei danni patiti dalle vittime e rinviando ad altro giudizio per la determinazione degli importi da liquidare.

Il Tribunale adito accolse (parzialmente) le domande risarcitorie formulate dalle vittime.

I convenuti promossero appello avverso tale pronuncia, contestando il mancato accertamento in concreto dei pregiudizi lamentati dalle vittime.

La Corte d’Appello di Napoli rigettò tuttavia l’appello, dichiarandone infondati e inammissibili i motivi, affermando che in presenza di una condanna per reato di danno, l’esistenza dei danni era implicita e non doveva dunque essere oggetto di ulteriore accertamento in sede civile.

Gli unici accertamenti demandati al Giudice civile erano in relazione al soggetto vittima del reato e alla determinazione dell’importo da corrispondergli.

 

 

La decisione della Suprema Corte

 

I convenuti proposero ricorso avverso la pronuncia della Corte d’Appello, contestandone le motivazioni ed affermando (per ciò che qui interessa) che la condanna generica al risarcimento del danno non preclude l’accertamento del nesso causale, dell’an e del quantum stante l’autonomia del giudizio civile rispetto a quello penale.

La Suprema Corte accolse tale motivo di ricorso, ribadendo un principio già cristallizzato in precedenti pronunce (Cass. 9 marzo 2018, n. 5660; Cass. 14 febbraio 2019, n. 4318).

La sentenza del giudice penale che, dopo aver accertato l’esistenza del reato e la sua estinzione per intervenuta prescrizione, abbia altresì condannato l’imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile, rinviando la liquidazione ad altro separato giudizio, spiega, in sede civile, effetto vincolante solo in ordine alla «declaratoria iuris» di generica condanna al risarcimento, ferma restando la necessità dell’accertamento, in sede civile, dell’esistenza e dell’entità delle conseguenze pregiudizievoli derivate dal fatto potenzialmente dannoso e del nesso di causalità tra questo e i danni lamentati dalle vittime.

Tale accertamento era stato omesso dalla Corte d’Appello che si era limitata a sostenere che, a fronte di una sentenza di condanna relativa ad un reato di danno, l’esistenza del danno era da ritenere implicita e non poteva essere oggetto di ulteriore accertamento, pena il conflitto con il giudicato penale.

 

Inoltre, la Corte era incorsa in un errore nell’interpretare la pronuncia delle Sezioni Unite 25 febbraio 2010, n. 4549 a cui aveva fatto riferimento, alla luce della più recente giurisprudenza.

Tale pronuncia infatti deve essere interpretata alla stregua della giurisprudenza della Suprema Corte, dovendosi concludere che quando si afferma che l’accertamento dell’esistenza del danno è implicito nell’accertamento del «fatto-reato» e non deve essere oggetto di ulteriori indagini in sede civile, si fa riferimento al danno-evento e non al danno-conseguenza, per il quale l’indagine da compiere è quella del nesso di causalità giuridica tra l’evento di danno e le sue conseguenze pregiudizievoli.

 

 

La sentenza in commento della Cassazione prosegue pertanto sulla strada già tracciata dalle precedenti pronunce in punto, compresa quella delle Sezione Unite del 2010 da interpretare sulla base delle regole di diritto civile.

Pertanto, la vittima di un reato che abbia ottenuto una sentenza favorevole in sede penale e si sia visto rimandare alla sede civile per la liquidazione dei danni, dovrà in ogni caso fornire effettiva prova dei pregiudizi subiti, nonché della loro causalità con il reato, restando esonerato esclusivamente dal dover fornire prova circa l’accadimento dell’evento lesivo siccome coperto da giudicato.