IL RISARCIMENTO DEL DANNO TRA DANNO BIOLOGICO, MORALE ED ESISTENZIALE
Chi ha dovuto recentemente affrontare le conseguenze di un sinistro lesivo della propria salute, ha senz’altro avuto modo di verificare come possa risultare davvero difficoltoso districarsi fra le varie terminologie e comprendere il risarcimento a cui aveva diritto.
Tali difficoltà sono il frutto di un decennio di disposizioni normative frammentarie e non sempre chiare, nonché di pronunce giurisprudenziali contraddittorie e non uniformi.
È quindi necessario fare un po’ di chiarezza.
Il danno non patrimoniale
A seguito di una lesione alla propria integrità psicofisica, ossia della compromissione delle proprie abilità nello svolgimento delle attività quotidiane, il soggetto danneggiato ha diritto a veder riconosciuto il risarcimento di tutti i danni patiti e, quindi dei:
– danni patrimoniali, nella duplice veste di danno emergente (le spese sostenute) e lucro cessante (i mancati guadagni);
– danni non patrimoniali
È proprio all’interno di tale ultima categoria che si sono presentate le maggiori discussioni e difficoltà interpretative, in quanto pur trattandosi di una categoria giuridicamente unitaria (come univocamente ribadito dalla Suprema Corte), al suo interno si trovano fattispecie fenomenologicamente distinte.
Partendo dalla (non troppo felice) definizione di cui agli artt. 138 e 139 Codice delle Assicurazioni private, il danno non patrimoniale “ricomprende” diverse tipologie di sofferenza:
a) la “sofferenza psico-fisica”, ossia:
a. la sofferenza prettamente fisica patita in conseguenza dell’evento lesivo, suscettibile di accertamento medico-legale (il c.d. danno biologico proprio);
b. la sofferenza interiorepatita dalla vittima, consistente nel dolore, nella vergogna, disistima in sé, disperazione, paura (il c.d. danno morale);
b) la “sofferenza dinamico – relazionale”, consistente nel peggioramento o nella perdita delle relazioni sociali della vittima.
In tale sistema non trova spazio il c.d. danno esistenziale, da anni stigmatizzato dalla giurisprudenza della Suprema Corte che, preoccupata dal rischio di duplicazioni risarcitorie, ha più volte evidenziato come tale voce sia già ricompresa all’interno delle voci di cui sopra.
Pur non essendo mancate pronunce in senso difforme, ad oggi l’orientamento prevalente continua ad escludere l’autonomia di tale voce risarcitoria, come ribadito anche dalla importante pronuncia della Cassazione del 27.3.18, c.d. “ordinanza decalogo” [1]
La quantificazione del danno permanente in concreto
Ricostruite le definizioni terminologiche, occorre a questo punto verificare come tradurle – volgarmente parlando – in “moneta” per il danneggiato, al quale spetterà in ogni caso l’onere di provare rigorosamente i singoli danni patiti, non potendosi verificare alcun automatismo risarcitorio.
Ed è proprio in questo passaggio che si sono palesate le principali problematiche, causate da oscillazioni giurisprudenziali e da un vivace dibattito dottrinale, perennemente alla ricerca di un punto di equilibrio tra la necessità – da una parte – che il danneggiato “abbia un risarcimento integrale di tutti i danni patiti” e – dall’altra – di evitare “duplicazioni risarcitorie” attribuendo nomi diversi agli stessi pregiudizi patiti.
Senza voler entrare nel merito di tale dibattito, il quadro può essere così schematizzato:
a) per le “lesioni di lieve entità” (le c.d. lesioni micropermanenti) derivanti da sinistri stradali, è necessario fare riferimento alle tabelle normative di cui all’art. 139 cod. ass.[2];
b) per tutte le altre ipotesi ove il legislatore non ha predisposto delle tabelle, e quindi anche per le “lesioni di non lieve entità” (le c.d. lesioni macropermanenti) in materia di sinistri stradali ex art. 138 cod. ass., occorrerà far riferimento alle “Tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale” elaborate dall’Osservatorio per la Giustizia Civile di Milano.
Tali tabelle, più volte “ritoccate” dalla versione originale del 1995, hanno riscosso un grande successo nel panorama giuridico, al punto che la Cassazione ne ha riconosciuto la “portata nazionale”, dando loro una forza quasi “para normativa”.
L’ultima versione del 2018 propone(va) una sorta di semplificazione, attraverso una liquidazione congiuntadei pregiudizi in passato separatamente liquidati a titolo di “danno biologico”, “danno morale” e “personalizzazione del danno biologico” per particolari condizioni soggettive.
Per l’elaborazione dei valori monetari di tale liquidazione congiunta, l’Osservatorio, partendo da una osservazione statistica delle pronunce, elaborava dei valori medi “standard” in base alla lesione subita (e all’età e ai punti di invalidità riconosciuti).
Qualora poi il caso specifico presentasse delle peculiarità rispetto alle conseguenze “normali” per quella tipologia di lesione, il valore medio poteva essere aumentato in percentuale, “personalizzando” la liquidazione.
Il sistema così elaborato ha avuto per anni il pregio di attribuire certezza ai danneggiati che, a fronte di una determinata lesione psico-fisica, avevano modo di predeterminare il risarcimento omnicomprensivo a cui avevano diritto.
La crisi del sistema dopo l’ordinanza “decalogo” della Cassazione
Tali automatismi sono stati tuttavia duramente criticati dalla Sezione Terza della Cassazione che, con la già citata ordinanza “decalogo” ha messo fortemente in crisi il sistema, sostenendo – in estrema sintesi – che il sistema tabellare milanese non fosse adeguato e che il numero “standard” indicato per punti percentuali di invalidità fosse relativo solo al danno biologico, dovendosi altresì risarcire un importo ulteriore qualora il danneggiato provi la presenza di altri pregiudizi non aventi “fondamento medico-legale” (ossia, il danno morale e il danno “da relazione”) [3].
Pregiudizi che, nelle intenzioni dell’Osservatorio, erano tuttavia già ricompresi all’interno del valore medio.
Dopo anni in cui il sistema sembrava aver trovato maggiore stabilità, la situazione attuale vede affiorare qualche incertezza in più.
Le Tabelle milanesi – che verosimilmente patiranno a breve delle modifiche – rimangono un ottimo parametro di partenza per comprendere il risarcimento a cui si ha diritto, ferma la possibilità (comunque già prevista attraverso il meccanismo della “personalizzazione”) di allegare la presenza di ulteriori pregiudizi ottenendone una separata liquidazione.
[1]Al punto 6) detta ordinanza infatti afferma che “costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d’una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e l’attribuzione d’una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente, quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale: ovvero il danno dinamico-relazionale” .
[2] A seguito dell’entrata in vigore della Legge Gelli – Bianco, tali tabelle sono applicabili anche in materia di responsabilità delle strutture sanitarie.
[3] La Cassazione ha affermato che: “8) «non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale …. rappresentati dalla sofferenza interiore”; 9) «ove sia correttamente dedotta ed adeguatamente provata l’esistenza d’uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione”.